Umberto Coldagelli

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Paesaggi dell'anima - Umberto Galimberti

Non intendo recensire questo libro, ma solo sottolinearne sadicamente una sciatteria : a pag. 21 l'autore cita l'attacco del "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia", celeberrima poesia di Leopardi, come tutti sanno, in questo modo "Dimmi che fai tu luna in ciel?" trasformando l'endecasillabo di Leopardi "Che fai tu, luna in ciel, dimmi che fai?" in un novenario malconcio. Una volta anche i bambini della mia generazione, ma ancor piu' quelli della generazione di Galimberti, ricordavano a memoria almeno il primo verso di questo altissimo capolavoro, quando non erano addirittura capaci di riconoscere il ritmo dell'endecasillabo, il metro principe della poesia italiana. Dio, Dio, perche' ci hai abbandonati?
Umberto

Contro (la) natura - Chicco Testa con Patrizia Feletig

Curioso che questo libro che cita film, ad esempio, come Armageddon, Il Millionaire etc., nel contesto di un simile argomento non citi mai Giacomo Leopardi ; eppure ad apertura di pagina si legge : "La natura è un'imponente macchina che produce vita e morte Fa nascere o morire ... Da questa macchina abbiamo molto da imparare e molto da capire. Ma non è giusta, né buona, né bella ... La natura non si cura di noi esseri umani. Va avanti e basta". Mi sembra inconfondibile il timbro leopardiano di queste frasi, si pensi infatti ai versi finali della canzone "Sopra un basso rilievo sepolcrale dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi" : "Ma da natura
Altro negli atti suoi/Che nostro male o nostro ben si cura" e si potrebbero citare innumerevoli altri passi, ma si puo' rileggere tutto il "Dialogo della Natura e di un Islandese" e la stessa "Ginestra", dove si asserisce la necessita' di una "social catena", di una'alleanza di tutti gli uomini per combattere la "guerra comune" contro la Natura, intesa come la forza negativa condizionante che ci condanna alla malattia, alla vecchiaia, alla morte, perche' valori come la pieta', la compassione, la solidarieta' si possono e si debbono trovare solamente nel mondo umano. Ad essi la Natura e' del tutto indifferente. Ribadisco : strana l'assenza del nome di Leopardi in questo libro dove l'ideologia sembra invece molto leopardiana.
Umberto

Puccini - Mauro Lubrani

A pagina 71 di questo libro, c'e' un errore, e siccome non esistono piu' ne' l'errata corrige ne' i benemeriti correttori di bozze, lo segnalo io. Nella didascalia alla fotografia d'epoca ivi riportata si elencano cinque personaggi : "Gatti, Casazza, Belasco, Toscanini e Puccini alla "prima" di La fanciulla del West. I personaggi nella foto in realta' sono solo quattro, perche' il primo da sinistra (punto di vista del lettore) e' il grande impresario teatrale Giulio Gatti Casazza. Nel contesto del libro non e' un errore da poco.
Umberto

Toscanini - Piero Melograni

Una sola osservazione su questa bella biografia di Arturo Toscanini. A pagina 27 si legge : "Nel corso di una prova [di Otello], Verdi si accorse che tra i violoncelli [Toscanini era secondo violoncello] qualcosa non andava, precisamente nel punto in cui i quattro violoncelli "a solo" introducono il duetto d'amore che conclude il quarto atto". Ebbene il grande duetto d'amore tra Otello e Desdemona "Gia' nella notte densa" conclude non il quarto atto, che e' l'ultimo dell'opera, bensi il primo ; l'opera, come e' noto, si chiude con il grande monologo di Otello "Niun mi tema s'anco armato mi vede". Ritengo l'errore imperdonabile in un tale contesto, pur mantenendo un giudizio positivo sul complesso della trattazione.
Umberto Coldagelli

Ginevra o l'orfana della Nunziata - Antonio Ranieri

A parte l'indubbio interesse che quest'opera riveste come primo esempio nella letteratura italiana di quello che piu' tardi verrà chiamato romanzo sociale, e anche con un congruo anticipo sui piu' quotati esempi francesi di tale genere, ed inoltre per il "leopardismo" che ne permea tutto l'impianto ideologico, talvolta fino alle soglie del plagio, il lettore che risiede nei Castelli Romani gusterà certamente le non poche pagine ambientate sui costoni del Lago Albano nel contesto della narrazione delle avventurose e drammatiche vicende di Ginevra.
Umberto Coldagelli

La 1. guerra mondiale - [Giuseppe Vottari]

Non intendo certo sopravvalutare l'importanza di questa pubblicazione, che fa parte di una collana a carattere piu' che divulgativo. Pero' in essa trovo l'ennesima sottovalutazione del ruolo avuto dall'Italia ai fini della sconfitta degli Imperi Centrali (Germania ed Austria-Ungheria) ed allora mi trovo costretto a precisare che il crollo dell'impero austro-ungarico ottenuto con la vittoria nelle tre battaglie difensive sul Piave e la finale offensiva di Vittorio-Veneto, contribui' ad affrettare anche la capitolazione del Reich tedesco, perche' sul fronte meridionale non c'erano piu' ostacoli che potessero impedire l'invasione della Germania da sud, ed infatti i comandi italiani stavano gia' prendendo accordi con quelli alleati per iniziare tale invasione, che la resa dei tedeschi fece diventare inutile. Faccio anche notare che il Vottari cita alcuni brani sulla disfatta italiana di Caporetto contenuti in "Addio alle armi" di Ernest Heminguay (allora giovane ufficiale volontario della Croce Rossa Internazionale sul fronte italiano), ma si guarda bene dal riportare quelli che, nella stessa opera, raccontano la riscossa italiana sul Piave tratteggiandola
come una vera e propria risurrezione di un popolo. Ma si sa, noi italiani non trattiamo bene noi stessi, nemmeno quando ce ne sarebbero seri motivi

Umberto Coldagelli

Luoghi comuni - Umberto Broccoli

Nel capitolo di questo libro intitolato "Notte" dove si parla molto di sogni letterari riguardanti Roma, viene citata un'opera del viaggiatore arabo Abu Hamid al-Gharnati, "Il dono degli ingegni", e Umberto Broccoli ne riporta un brano come descrizione fantasiosa di Roma ; pero' in questo brano si legge : "Ha una sola porta, poiche' dagli altri lati e' circondata dal Mar Nero". Quest'ultima indicazione avrebbe dovuto mettere sul chi vive l'Autore perche' e' evidente che lo scrittore arabo non ci sta parlando della Citta' Eterna, attuale capitale d'Italia, ma della Nuova Roma, la città scelta come nuova capitale dell'impero romano da Costantino il Grande, cioe' Bisanzio, alias Costantinopoli, alias Istanbul (eis then polin, la Citta' per eccellenza per i romani d'Oriente o Bizantini, ma non solo per loro). In realta' la geografia arabo-islamica registra due citta', separate e distinte : una e' Roma ((in arabo
Rumiyah e Rumah), l'altra e' Costantinopoli (al-Qustantıniyyah). Ma la descrizione di Roma (Rumiyah) e' sempre interpolata, nelle fonti arabe, da quella di Costantinopoli, appunto la Nuova Roma. E' da tenere presente che i Romani d'Oriente nel Corano vengono chiamati Rum (proprio Romani ; vedere la Sura Ar-Rum ; XXX) e che i Persiani, protagonisti di una guerra secolare contro l'impero romano, anche dopo la caduta dell' impero romano d'Occidente, continuarono a identificare nell'impero comunemente detto oggi bizantino il loro grande nemico romano fino alla definitiva sconfitta della Persia avvenuta nel 7. secolo sotto l'imperatore d'Oriente Eraclio. Persino i turchi selgiuchidi quando ebbero conquistato l'Anatolia chiamarono i loro nuovi domini Rum selghiuchische, ovvero Impero Romano dei Selgiuchidi. Da tutto questo, forse, l'equivoco, che se equivoco non fosse sarebbe solenne trascuratezza, a mio avviso ancora piu' grave perche' perpetrata in un libro di carattere divulgativo. Cosa divulghiamo in questo modo, se non l'approssimazione ed il pressapochismo, che sono alcune delle piaghe del nostro Bel Paese?. Tra l'altro l'Autore e' docente universitario e, dal 2008, sovrintendente ai Beni Culturali di Roma Capitale. Ai posteri l'ardua sentenza.
Umberto Coldagelli

Regine per caso - Cesarina Casanova

Solo una curiosità : a pagina 3 di questo libro viene citata l'antica Lanuvium (Lanuvio) in rapporto all'antico culto di Giunone Sospita (o Sispita) Mater Regina ; notevole che l'autrice si rifaccia, per questa citazione, ad un testo di Georges Dumezil : "L'ideologia tripartita degli Indoeuropei", dove la dea lanuvina viene confrontata alla triade maschile romana di Giove, Marte e Quirino, per il suo carattere appunto tripartito nelle funzioni distinte delle attivita' umane tipiche delle culture indoeuropee : la guerra, la fecondita', la regalita' sacrale. Quindi due opere importanti in cui si parla di una delle citta' dei Castelli Romani. Continuero' a segnalare questi casi anche in seguito ; cio' potrebbe essere utile per la compilazione di una bibliografia generale ed approfondita su Lanuvio
Umberto

Poeti innamorati - [un'antologia di] Patrizia Valduga

Interessante questa antologia di poesie d'amore curata dalla poetessa Patrizia Valduga : le scelte operate dalla curatrice non sono ne' scontate ne' banali (pensate alla presenza del Ruzante o di Giovan Battista Strozzi il Vecchio, grande madrigalista quest'ultimo, e del maccheronico Teofilo Folengo). Ma per me il maggior motivo d'interesse sta proprio nella presentazione, nella quale la Valduga spiega brevemente i motivi delle sue scelte e delle sue esclusioni. Assente Michelangelo Buonarroti, perche', e cito, "si e' scambiata per grandezza poetica la rudezza di un geniale dilettante" ; il fatto e' che questo "geniale dilettante" ci ha lasciato una serie di vertiginose, quasi metafisiche, brevi poesie d'amore nella "catena" per la morte di Francesco Bracci, uno dei suoi veri o presunti amanti ; viene forse censurato dalla curatrice il possibile canto dell'amore omosessuale da parte di Michelangelo? Il sospetto, o la malignita', se si vuole, mi e' venuto spontaneo. Infatti viene cassato anche Sandro Penna, poeta clamorosamente omosessuale, perche', dice la Valduga, "la sua voce mi pare assai flebile". Faccio notare che Penna e' solitamente considerato come uno dei nostri primi lirici del Novecento e che, riffe o raffe', sui suoi amori e' riuscito a darci versi memorabili come, per fare un solo esempio, "Mi nasconda la notte e il dolce vento/da casa mia cacciato e a te venuto/mio romantico amico fiume lento". Mi illudo o qui pare di risentire la voce di Leopardi : "Dolce e chiara e' la notte e senza vento ...", con quel che segue. Del resto la Valduga dice di non amare la poesia di Leopardi, nemmeno, appunto, "La sera del di' di festa" (che pure ha incluso nell'antologia), per la quale propone una lettura di seguito ad uno dei "Pensieri d'amore" di Vincenzo Monti, il piu' famoso : "Alta e' la notte ed in profonda calma" ... Da tale lettura si dovrebbe ricavare nel caso di Leopardi una poesia tutta "volonta' e niente istinto", con l'aggravante di una "letterarieta' programmata" mentre, anche se non viene detto esplicitamente, per quanto riguarda Monti emergerebbero istinto e sincerita'. Ora, a me piace molto Monti, ma e' stranoto che egli e' forse il poeta di piu' strenua letterarieta' dell'intera letteratura italiana assieme ad un certo Gabriele D'Annunzio. Non solo, ma sia Leopardi che Monti, nell'incipit delle rispettive poesie rielaborano una celeberrima descrizione di pace cosmica che appartiene all'Iliade di Omero (e per Leopardi interviene anche la mediazione della bellissima traduzione montiana dell'Iliade). Quindi ambedue poeti letteratissimi, sia pure in modi diversi. Aggiungo che la letterarieta' di Monti non puo' disturbarmi visto che non disturbava il geniale Stendhal che considerava lo scrittore di Alfonsine come il piu' grande poeta vivente. Tra l'altro e' anche risaputo che due opere di Monti, i gia' menzionati "Pensieri d'amore" e gli "Sciolti al principe Chigi" non sono altro che abilissime parafrasi poetiche di molte e molte pagine de "I dolori del giovane Werther" di Goethe. Stendhal da parte sua riverso' ne "La certosa di Parma" moltissimi versi di queste poesie montiane operando una sorta di contro-parafrasi in prosa. Quindi evviva la letteratura! Infine manca Manzoni perche', dice la Valduga, "se avessi riportato il sonetto scritto a diciassette anni per Luigia Visconti mi sarebbe parso di fargli piu' torto che onore". E allora perche' non dare un'occhiata al carme "In morte di Carlo Imbonati" dove si sarebbe potuta imbattere nei seguenti bellissimi versi di amore e morte (romanticamente parlando) : Dille ch’io so, ch’ella sol cerca il piede
Metter su l’orme mie; dille che i fiori,
Che sul mio cener spande, io gli raccolgo,
E gli rendo immortali; e tal ne tesso
Serto, che sol non temerà nè bruma,
Ch’io stesso in fronte riporrolle, ancora
De le sue belle lagrime irrorato.). E la poesia ardentemente innamorata e disperata di Ermengarda nell'Adelchi? Con cio' finisco, ed era ora.

La morte ci fa belle - Francesca Serra

Libro interessante e bene informato sull'argomento. Per quanto concerne il tema del "sepolto vivo" , una vera e propria ossessione per i medici e i letterati del 19. secolo, si potrebbe vedere il poemetto latino "Iugurtha" di Giovanni Pascoli dove il poeta accoglie la tradizione della sepoltura di Giugurta nel terribile carcere Tulliano a Roma. Pascoli e' stato il piu' grande poeta latino dell'eta' moderna, ma purtroppo questa parte della sua produzione manca ancora di un pubblico. La citazione dall'Amleto proposta dall'Autrice a pagina 61, qualsiasi mendicante "puo' pescare con il verme che ha mangiato carne di re, e mangiare il pesce che si e' cibato di quel verme", mi ha fatto pensare che questo passo potrebbe essere stato un suggerimento per il poemetto "Re Orso" di Arrigo Boito (altro scrittore che meriterebbe maggiore attenzione), specialmente per il lugubre ritornello "Re Orso ti schermi dal morso dei vermi", ispirato anche dal proverbiale "vermis non morietur" della Bibbia.

Pasolini filosofo della libertà - Franco Ricordi

Faccio notare che a pagina 183 di questo libro viene citato Giacomo Lauri-Volpi (grande tenore nativo di Lanuvio) come filosofo del canto. Non accade molto spesso nella saggistica recente. Una curiosita' : a pagina 244 viene citata una sequenza di versi dal Pilade pasoliniano, tra questi si legge : "Avro' bisogno di te come del pane", che a me ricorda irresistibilmente il "Ci nutrimmo di lui come del pane" nell'"Ode a Verdi" di D'Annunzio. Puo' sembrare strano ma c'e' molto del Vate nella poesia di Pasolini.
Umberto

L' ombra di Amadeus - Pierdomenico Baccalario

Si tratta veramente di un bel libro che puo' essere una utile e divertente lettura anche per gli adulti. Naturalmente il rapporto da maestro ad allievo che si immagina essere intercorso fra Mozart e Rossini, oltre ad essere ovviamente totale frutto di fantasia e' giustificato dall'opinione che vi siano forti analogie fra i rispettivi stili musicali, opinione non condivisibile se non in base ad un ascolto un tantino superficiale della musica dei due compositori che e' espressione, invece, di due mondi artistici ed umani molto diversi. Segnalo due piccoli errori (a mio parere chi scrive ha una certa responsabilita' nei riguardi dei propri lettori, di qui un atteggiamento un po' severo da parte mia) : il capoverso dell'aria di Leporello impiegato come titolo del cap. 9. del libro (Don Giovanni di Mozart, atto 1.) e' "Notte e giorno faticar" non "Notte e giorno a faticar" (quella "a" forestiera rende il settenario un po' zoppicante) ; l'aria rossiniana il cui capoverso "Quest'ultimo addio" fa da titolo al cap. 24 non e' contenuta nel misterioso "Trovaldo e Dorliska" come indicato nel testo, bensi' nel piu' riconoscibile "Torvaldo e Dorliska" del maestro di Pesaro.
Umberto

Filosofia del bacio - Franco Ricordi

segnalo solo un'inesattezza a pagina 35 : la "lode funebre", cioe' l'epigrafe sulla tomba di Leopardi, della quale viene citata una frase, non e' di Antonio Ranieri, ma come e' stranoto e' stata dettata da Pietro Giordani.
per altro il libro e' molto interessante.
Umberto Coldagelli

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